“Il problema del paesaggio è che noi non abbiamo bisogno di una educazione estetica ma di una educazione al collocarci e nel nostro caso al vedere, un paesaggio è fatto di cose visibili e di cose invisibili e nel vedere io debbo vedere anche quello che non si vede; ed ecco perché aveva ragione Goethe quando diceva che vedendo si comincia già a ragionare; una specie di operazione con la quale recupero altri elementi. Aggiungiamo che un paesaggio non è mai pura natura ma è già cultura, il paesaggio è impregnato di storia, paradossalmente direi se non c’è la storia è impregnato dell’assenza di storia, ma solitamente ogni paesaggio ha una dimensione storica e una dimensione umana profonda e mi permette non solo di mettermi in rapporto col paesaggio, ma con tutti coloro che nel paesaggio sono passati . Ho la sensazione che qui si potrebbe usare la considerazione che faceva Péguy quando parlava del libro e diceva “un libro è popolato da tutti i lettori che lo hanno letto e un cattivo lettore compromette qualche cosa del libro”. Be in fondo il paesaggio è una specie di libro dei libri e quindi si potrebbe ragionare esattamente nello stesso modo.” tratto dall'intervista del 2000 di Duilio Zogno e Flavio Bonetti a Ezio Raimondi. Bologna

STRADE AUTONOME

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Autonomous Road
“To go to work or to get back home we take a metaphor ― a bus or a train. Stories could also bear this fine name: each day they go through and organise places; they select them and link them together, making up phrases and journeys. So they are journeys of spaces.”
Thus writes Michel de Certeau in L’invention du quotidien (1990) and we would have liked to ask him about the message put out by seven streets in the province of Brescia for the past twenty years. No cars have ever been along them and each one is separate from the others, and unconnected to the road network. This absence of function is the space that Strade autonome ― “autonomous streets” ― attempts to resuscitate or at least give a name to.
Viewed for the first time as a “nonsensical unit” by Duilio Zogno in 2000, Flavio Bonetti later went along these seven streets and, through his photographs, a series of philosophers, sociologists, writers, and curators all became their adoptive parents. They attributed stories, considerations, and possible meanings to them, as well as bringing them together in a sort of confraternity. An autonomous state. 
In spite of the collapse of ideological certainties which took place many years ago, we are still witnessing uncontrollable changes in our geopolitical world, and in this ever-changing territory we can observe a wealth of buildings being made, and public construction sites lying idle, in hibernation.
Apparently abandoned for about twenty years, the seven streets in the province of Brescia vary in length from 3 to 20 kilometres, with completion ranging between 60% and 90%. There are different reasons for this: companies gone bust, non-compliant tunnels, litigation with the companies, etc., but, more in general, it reveals an inability to plan the use of the territory properly, as well as widespread speculative greed.
In Unbuilt America (1976), a collection of projects that were never made, Alison Sky and Michelle Stone say that few people fail to be inspired by the poetic implication of forgotten dreams, and by the unknown number and nostalgic meaning of ideas, thoughts, and circumstances that “might have been”. Twenty years later, Hans Ulrich Obrist and Guy Tortosa brought together 107 unrealised projects in their book Unbuilt Roads (1997). The autonomous streets of Strade autonome probably link up more to these experiences than to the road network of Brescia.
Throughout the long process of drafting the project, the Strade autonome became “inter-zones” ― special places which can be used to reflect on reality, or “places of tradition, places in which culture is redefined and transformed”. They are somehow the consequence of our sleepwalking political life and, since this means they have never experienced any practical existence, they have demanded a reason and meaning. This giving of life can only come from an effort made by many, through telling and listening. And it is in this sequence of interactions ― the roads that Flavio Bonetti went along and photographed, and streets taken in by their “adoptive parents” and then reshaped by artists ― that the space of these “autonomous streets” came about and started to change.
This means that, while everyday stories become our collective conveyance ― our metaphorai, as de Certeau would say ― every variation, be it through art or literature, may turn into an experience of space. 
Katia Anguelova

Strade Autonome
“Per andare al lavoro o rientrare a casa, si prende una “metaphora”- un autobus o un treno. I racconti potrebbero portare anch’essi questo bel nome: ogni giorno, attraversano e organizzano dei luoghi; li selezionano e li collegano fra loro, ne fanno frasi e itinerari. Sono dunque percorsi di spazi.”

Scrive così Michel de Certeau nel ’“L’invenzione del quotidiano” (ed. Lavoro, Roma, 1990) ed anche a lui ci sarebbe piaciuto chiede re di cosa parlano, da vent’anni, sette strade in provincia di Brescia, mai percorse da automobili, ognuna staccata dalle altre, ognuna sconnessa dalla rete viaria?

Questa assenza di funzione è lo spazio che Strade Autonome cerca di resuscitare o almeno di nominare .

Le strade, avvistate per la prima volta come unità insensata da Duilio Zogno nel 2000, sono state successivamente percorse e fotografate da Flavio Bonetti. In seguito, attraverso queste fotografie, filosofi, sociologi, scrittori, curatori ne sono diventati “genitori adottivi”, procurando loro racconti, riflessioni e possibili significati, riu- nendole in una confraternita, in uno stato autonomo.

Le sette strade, nella provincia di Brescia (Italia), apparentemente abbandonate da circa ventina d’anni, hanno una lunghezza compresa fra i 3 e i 20 km ed uno stato di avanzamento dei cantieri bloccato fra il 60 ed il 90 percento.

Il motivo dell’interruzione dei lavori è per ogni caso diverso (ditte fallite, gallerie non a norma, contenzioso con le ditte...) ma generalmente si tratta dell’incapacità di progettare ragionevolmente l’uso del territorio e della banale e diffusa avidità affaristica.

“Solo poche persone non sono ispirate dall’implicazione poetica dei sogni dimenticati, la quantità sconosciuta, il significato nostalgico di idee, pensieri e circostanze che “avrebbero potuto essere”. Così scrivono nel 1976 Alison Sky e Michelle Stone in “Unbuilt America” (Abberville Press Pubblishers, New York, 1976), una raccolta di progetti irrealizzati.

Venti anni dopo Hans Ulrich Obrist e Guy Tortosa raccolgono 107 progetti mai realizzati nel libro “Unbuilt Roads” (Hatje, 1997). Le

Strade Autonome sono connesse probabilmente più a queste esperienze che alla rete viaria bresciana.
Nel corso del lungo processo di relazioni e scambi fra tutti i partecipanti al progetto, le Strade Autonome sono diventate “inter-zone”, luoghi privilegiati attraverso i quali riflettere sulla realtà, sono diventate “i luoghi della traduzione, i luoghi nei quali la cultura si ri- definisce e si trasforma”.

E importante dare un senso alle cose che facciamo e le Strade autonome sono in qualche modo conseguenza della nostra vita politica sonnambulica, e dunque, non avendo mai avuto una esistenza funzionale hanno chiesto un perché, un significato. Questo dare vita può essere solo frutto di uno sforzo composto da molte voci, dal raccontare e dall’ascoltare.

Ed è in questa sequenza di interazioni (le strade percorse e fotografate da Flavio Bonetti, le strade adottate da “genitori adottivi”, ed infine rimodulate dagli artisti) che lo spazio delle Strade autonome è nato e ha cominciato a modificarsi.

Quindi se i racconti quotidiani diventano i nostri trasporti collettivi, le nostre metaphorai, per dirla con le parole di de Certeau, ogni variazione, sia essa pratica artistica o intervento letterario, può diventare una esperienza dello spazio.

Katia Anguelova 

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