Strade Autonome
“Per andare al lavoro o rientrare a casa, si prende una “metaphora”- un autobus o un treno. I racconti potrebbero portare anch’essi questo bel nome: ogni giorno, attraversano e organizzano dei luoghi; li selezionano e li collegano fra loro, ne fanno frasi e itinerari. Sono dunque percorsi di spazi.”
Scrive così Michel de Certeau nel ’“L’invenzione del quotidiano” (ed. Lavoro, Roma, 1990) ed anche a lui ci sarebbe piaciuto chiede re di cosa parlano, da vent’anni, sette strade in provincia di Brescia, mai percorse da automobili, ognuna staccata dalle altre, ognuna sconnessa dalla rete viaria?
Questa assenza di funzione è lo spazio che Strade Autonome cerca di resuscitare o almeno di nominare .
Le strade, avvistate per la prima volta come unità insensata da Duilio Zogno nel 2000, sono state successivamente percorse e fotografate da Flavio Bonetti. In seguito, attraverso queste fotografie, filosofi, sociologi, scrittori, curatori ne sono diventati “genitori adottivi”, procurando loro racconti, riflessioni e possibili significati, riu- nendole in una confraternita, in uno stato autonomo.
Le sette strade, nella provincia di Brescia (Italia), apparentemente abbandonate da circa ventina d’anni, hanno una lunghezza compresa fra i 3 e i 20 km ed uno stato di avanzamento dei cantieri bloccato fra il 60 ed il 90 percento.
Il motivo dell’interruzione dei lavori è per ogni caso diverso (ditte fallite, gallerie non a norma, contenzioso con le ditte...) ma generalmente si tratta dell’incapacità di progettare ragionevolmente l’uso del territorio e della banale e diffusa avidità affaristica.
“Solo poche persone non sono ispirate dall’implicazione poetica dei sogni dimenticati, la quantità sconosciuta, il significato nostalgico di idee, pensieri e circostanze che “avrebbero potuto essere”. Così scrivono nel 1976 Alison Sky e Michelle Stone in “Unbuilt America” (Abberville Press Pubblishers, New York, 1976), una raccolta di progetti irrealizzati.
Venti anni dopo Hans Ulrich Obrist e Guy Tortosa raccolgono 107 progetti mai realizzati nel libro “Unbuilt Roads” (Hatje, 1997). Le
Strade Autonome sono connesse probabilmente più a queste esperienze che alla rete viaria bresciana.
Nel corso del lungo processo di relazioni e scambi fra tutti i partecipanti al progetto, le Strade Autonome sono diventate “inter-zone”, luoghi privilegiati attraverso i quali riflettere sulla realtà, sono diventate “i luoghi della traduzione, i luoghi nei quali la cultura si ri- definisce e si trasforma”.
E importante dare un senso alle cose che facciamo e le Strade autonome sono in qualche modo conseguenza della nostra vita politica sonnambulica, e dunque, non avendo mai avuto una esistenza funzionale hanno chiesto un perché, un significato. Questo dare vita può essere solo frutto di uno sforzo composto da molte voci, dal raccontare e dall’ascoltare.
Ed è in questa sequenza di interazioni (le strade percorse e fotografate da Flavio Bonetti, le strade adottate da “genitori adottivi”, ed infine rimodulate dagli artisti) che lo spazio delle Strade autonome è nato e ha cominciato a modificarsi.
Quindi se i racconti quotidiani diventano i nostri trasporti collettivi, le nostre metaphorai, per dirla con le parole di de Certeau, ogni variazione, sia essa pratica artistica o intervento letterario, può diventare una esperienza dello spazio.
Katia Anguelova